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La Siria potrà mai essere risanata?

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Mideast Syria Children Of Aleppo

di Robert Fisk – 14 maggio 2017

Dopo la sua titanica guerra civile la Siria può restare uno stato unito? E in caso affermativo – se la Siria potrà essere rimessa di nuovo insieme – come si risana il suo popolo?

Queste non sono parole vuote quando, oltre confine, il popolo del Libano ha di nuovo vissuto il luttuoso anniversario dell’inizio della propria guerra civile nel 1975. La fine del Libano, come la fine della Siria, è stata sepolta e resuscitata da giornalisti e politici. Alla fine della guerra civile libanese abbiamo calcolato 150.000 morti. Due mesi fa un giovane attivista di Beirut è improvvisamente venuto fuori con una cifra di 200.000. Che cosa è successo ai 50.000 in più? E poi il mese scorso il dato è aumentato di nuovo a 250.000 in un giornale locale. Che cosa è successo ai 100.000 in più?

Questi inquietanti cambiamenti meritano di essere ricordati. I morti siriani semplicemente non possono essere calcolati. Quando il dato dell’ONU ha raggiunto i 400.000 la maggior parte dei media si è allineata.

Ma poco più di una settimana fa la BBC World Television ha trasmesso un servizio che riduceva a 300.000 i morti siriani. Chi ha resuscitato 100.000 persone dalle loro tombe? Tali numeri, statistiche – cifre che non potranno mai essere note con certezza – sono davvero il solo modo per commemorare i morti di questi conflitti inutili?

Il buio passato del Libano è stato concluso con un’amnistia che ha in effetti deciso l’innocenza di tutti gli assassini e lasciato le famiglie dei morti senza né giustizia né conforto. Si ritiene – non ditelo a Beirut – che ci siano circa venti fosse comuni ancora intatte in Libano. Alcune delle loro posizioni sono diffusamente note; la fossa comune dei palestinesi sequestrati nei campi di Sabra e Chatila nel 1982, ad esempio, che si trova vicino a una chiesa accanto al patriarcato maronita sopra Jounleh. Furono assassinati dai loro carcerieri cristiano falangisti quando questi ultimi non riuscirono a organizzare uno scambio di prigionieri. Un’altra è diffusamente ritenuta trovarsi nelle vicinanze del vecchio campo da golf in prossimità dell’aeroporto di Beirut. Temono di aprire questi luoghi spaventosi perché, suppongo (nelle parole di una vecchia signora serba quando i croati cominciarono ad aprire fosse comune della seconda guerra mondiale): “Potrebbero volervi versare altro sangue”.

Wadih el-Asmar, il presidente del Centro Libanese per i Diritti Umani, ha parlato della necessità di una vera opera di memoria e riconciliazione in cui i morti possano essere estratti dalla terra in cui sono stati gettati o sepolti da bulldozer nel corso della guerra ed essere attentamente identificati. Questa, ha ammonito, non dev’essere una scusa per ritenere che tutti gli “scomparsi” nella guerra siano morti. Almeno cento uomini sono stati portati in Siria e le loro famiglie ricevono occasionalmente tuttora prove della loro esistenza in vita.

Waddad Halawani, che amministra il Comitato delle Famiglie degli Scomparsi e dei Sequestrati in Libano, sostiene che “vogliamo solo conoscere il loro destino e offrir loro una sepoltura che li riceva”. Ma, come indica el-Asmar, il dibattito sulle fosse comuni “rivela rapidamente i demoni del passato, perché ammettere la loro esistenza significa accettare il fatto che la guerra non è stata un incidente bensì veramente una successione di crimini organizzati e pianificati”.

E, come si dice, “questo è il problema”. Se ci sono crimini devono esserci criminali. Ma i criminali sono stati salvati dall’amnistia nazionale.

Un bel nuovo libro di Sami Hermez, un docente di antropologia in Qatar, intitolato War is Coming: Between Past and Future Violence in Lebanon [‘Arriva la guerra: tra la violenza passa e quella futura in Libano] nota che l’amnistia ha incoraggiato i libanesi a dimenticare i loro crimini ma poiché i colpevoli di presunti crimini “non hanno subito processi, non sono stati ritenuti colpevoli e non hanno dovuto ammettere o confessare i propri crimini, che cosa si chiede alla gente di dimenticare?” I capi politici potrebbero essere processati in una data successiva ma una violazione contro civili innocenti è stata, attraverso una legge di perdono, “messa a tacere, poiché la sua configurazione come reato è stata resa ambigua e suscettibile di interpretazione”.

El-Asmar insiste che gli ossari del Libano dovrebbero essere aperti con grande cura e dignità e ciascun corpo conservato nella terra dovrebbe essere attentamente identificato usando il DNA delle famiglie, come lo sono le vittime nelle fosse comuni del colpo di stato cipriota e dell’invasione turca dell’isola nel 1974. In questo modo migliaia di famiglie sarebbero in grado di “voltare pagina” sulla guerra civile libanese.

A meno che, ovviamente, le esumazioni non riaccendano il conflitto. Carmen Abou Jaoude, una ricercatrice libanese, ha indicato che i libanesi commemorano l’inizio della guerra civile nel 1975, ma mai la sua fine nel 1990, che in teoria costituisce l’inizio della pace. Il problema naturalmente – e certamente questo succederà in Siria una volta che il suo calvario sia finito – l’insicurezza, gli attentati, gli assassinii e le sparizioni sono continuati dopo la guerra civile libanese, e proseguono tuttora. Come ha affermato il leader druso Walid Jumblatt al culmine della guerra nel 1986: “Il nemico è ora dentro ciascuno di noi”. Lo è ancora?

Il professor Fawwaz Traboulsi, uno storico libanese, ha osservato come Guernica – e specificamente il dipinto di Picasso dell’attacco della Luftwaffe tedesca contro la cittadina basca nel corso della guerra civile spagnola – è stato paragonato da artisti agli orrori e alle violenze di Iraq, Algeria, Libano, Palestina e Siria. Il professor Traboulsi non considera la guerra civile libanese come necessariamente confessionale – né lo è quella siriana (poiché il suo esercito è in larga misura mussulmano sunnita in lotta contro avversari sunniti) – ma è stata causata anche dalla povertà e da una cattiva gestione dell’economia.

Lo stesso potrebbe dirsi anche della Siria, dove le politiche economiche del governo di Assad hanno trasferito una schiera di popolazioni agricole di nuovo sfollamento nei bassifondi delle grandi città prima che la guerra iniziasse.

Christina Foerch Saad, una cittadina tedesca e regista residente in Libano, non è la sola a segnalare come i corsi di storia tedesca hanno previsto visite delle scuole superiori a musei e a ex campi di concentramento “al fine di non ripetere ciò che è successo. Poi sono arrivata [a Beirut] e ho visto che non stava accadendo nulla del genere”. Il ricordo della guerra è tuttora chiaro nelle menti di coloro che ne sono stati testimoni.

Aline Manoukian, una grafica e fotografa, ha ricordato per L’Orient Le Jour, un giornale libanese in lingua francese, il giorno più triste della sua carriera: “La sepoltura di una ragazzina uccisa nell’esplosione di un’autobomba in una parte dei sobborghi meridionali di Beirut. Le lacrime mi hanno impedito di vedere attraverso il mirino [della macchina fotografica]. Uomini trasportarono il corpo della ragazzina, avvolto in un sudario. Entrarono nel cimitero in silenzio. Uno sceicco pronunciò una preghiera e poi l’uomo che trasportava il corpo lo elevò al cielo. Probabilmente era il padre. Poi pose il piccolo corpo nella fossa. Dopo averla chiusa se ne sono andati nello stesso modo dignitoso e silenzioso come erano venuti. Niente lacrime, niente grida, solo una profonda tristezza che rendeva la scena ancor più insopportabile.”

Ma per le famiglie di quelli che non hanno una tomba nota non c’è una simile compassione. Ogni settimana L’Orient pubblica un articolo sugli scomparsi della guerra civile libanese, ciascun racconto “scritto” dalla vittima scomparsa, presumibilmente morta. “Siamo scomparsi pochi giorni prima del mio matrimonio” nel giugno del 1982, “scrive” Chahine Imad, citando il posto di controllo della milizia dove fu fermata vicino alla cittadina di Bhamdou, e mai più rivista. “Non lasciate che la nostra storia finisca qui”. Ciascun articolo del “morto” finisce con le stesse parole. Raya Daouari, una vedova trentenne, stava portando i suoi due figli a iscriversi a scuola quando fu fermata in un altro posto di controllo della milizia vicino al museo di Beirut. Non è stata mai più rivista. “Non lasciate”, scrive, “che la mia storia finisca qui”.

Un progetto per commemorare tutti gli scomparsi delle guerra libanese è finanziato dalla Croce Rossa Internazionale, dalla UE e da due ONG. Ma la guerra siriana finirà con molte più vittime e molti più scomparsi di quella libanese. Il suo conflitto è su scala molto più vasta, con grandi aree di paesi e città rasate al suolo, un destino che in realtà colpì solo il centro di Beirut.

Anche durante la guerra siriana oggi ci sono comitati di riconciliazione. Ma come può essere guarita la sua popolazione? Di certo per molte decine di migliaia di siriani la guerra è già dentro di loro; e proseguirà nei loro cuori – se il Libano è qualcosa da cui prendere esempio – molto dopo la fine del bagno di sangue.

Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/can-syria-ever-be-repaired/

Originale: The Independent

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.


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